Giuseppe Sgambetterra, giovane seminarista calabrese ci aiuta a riflettere sul nostro patrono San Martino e il suo gesto di carità che ha attraversato i secoli e ancora oggi può insegnarci ad essere comunità secondo il Vangelo.
Martino, figlio della Misericordia ci insegna a condividere la dignità, le povertà e il nostro essere uomini… come Cristo.
1700 anni… non son pochi. In 1700 anni ne cambiano di cose. Eppure i santi dopo millenni hanno ancora tanto da dirci e noi abbiamo da loro tanto imparare. Del resto la Parola di Dio è sempre attuale, è sempre attuale Cristo e così la santità di coloro che della Parola si son fatti ascoltatori attenti e della Parola Incarnata imitatori. E allora San Martino di Tour che cosa ha ancora da dirci oggi?
Tutti noi, se solo sentiamo il nome di questo santo, pensiamo immediatamente al famoso episodio del mantello. D’altra parte l’arte sempre così ce lo ha raccontato, artisti e anziane nonne sempre così ce l’han dipinto: un bel cavaliere a cavallo, spada sguainata nell’atto di tagliare in due il mantello rosso che dalla schiena del santo si poggia sulla schiena di un poverello nudo e infreddolito.
Questa immagine però mi ha sempre suscitato una domanda, sin da piccolo: ma questo santo sarà un po’ taccagno? Perché non si è spogliato completamente del mantello a favore del povero? Dopo tutto gli altri santi facevano così, basta pensare a Francesco d’Assisi… eppure Martino no, lui tiene una parte di mantello per sé.
La cosa mi ha da sempre così incuriosito che ne cercai le ragioni, tra queste il fatto che solo metà del mantello apparteneva realmente al soldato, il resto era della legione. Ma non voglio soffermarmi su questo (anche se ciò ci dice che la carità di Martino è totale) … voglio “fantasticare” un po’ sul gesto del CON-DIVIDERE. E per farlo parto dalla Genesi.
La pagina bellissima della Creazione ci presenta Dio che in un impeto di Amore sfoga tutta la sua Bellezza e Bontà sulla massa informe e tenebrosa della terra che ha appena creato. “Dio vide che la luce era cosa buona e Dio divise la luce dalle tenebre (Gen 1,3), “Dio fece il firmamento e divise le acque che sono sotto il firmamento dalle acque che sono sopra il firmamento. E così avvenne. E chiamò il firmamento cielo” (Gen 1,7-8) e così divide anche la terra dalle acque e crea i continenti e il mare (cfr Gen 1,9-10). L’opera della Creazione avviene così per “divisione”, in tal modo Dio crea da una realtà disordinata una nuova realtà che vede essere cosa buona. Così Martino, dividendo il mantello, scopre la nuova realtà di Dio, scopre che Dio è nel fratello! L’immagine di Cristo si cela nell’altro, nel povero: come Dio dividendo con-divide la sua bontà così Martino dividendo con-divide la realtà del sentirsi amati, curati, protetti, con-divide con l’altro la dignità, di cui quel mantello è simbolo, che non è più dignità di soldato di Roma, ma dignità di figlio di Dio.
L’opera di misericordia corporale che Martino attua nei confronti del povero è “vestire gli ignudi”. In Genesi, successivamente al peccato della disobbedienza dell’uomo, leggiamo che “il Signore Dio fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì” (Gen 3,21). L’uomo, infatti, allontanandosi da Dio scopre la sua nudità, la sua fragilità. Dio però, che è misericordioso, restituisce all’uomo la sua dignità coprendo la sua nudità col suo immenso amore. La misericordia di Dio verso l’uomo peccatore può essere quindi simboleggiata da quest’opera di misericordia, che si estende a tal punto che il Signore Gesù, vero Dio, si spoglia della sua dignità divina per rivestire l’uomo di immortalità facendosi vero uomo, fragile e nudo.
Martino, come dicevo, rivestendo il povero rivela la realtà della misericordia di Dio, questa realtà però si rivela soprattutto per lui. Ecco perché mantiene metà mantello, guardando l’altro si scopre anch’egli nudo e bisognoso di misericordia, scopre la sua nudità, la sua fragilità, il suo essere povero, il bisogno di riscoprire la più alta dignità, quella dell’essere figlio di Dio. Ecco perché Martino nel povero vede Cristo! E’ l’incontro di due povertà, la povertà dell’uomo e la povertà di un Dio che ha rinunciato alla sua ricchezza per venirgli incontro! Si rivela a noi così quale sia davvero la più grande opera di misericordia, che ci fa “misericordiosi come il Padre”: non è tanto con-dividere beni materiali, ma la con-divisione di una situazione e, particolarmente, la situazione di essere bisognosi di misericordia. Ecco la vera scintilla della conversione che può farci, come è successo a Martino, riporre le armi dei regni umani per rivestirci dell’armatura più sicura e impenetrabile, la grande Misericordia di Dio!
Detto ciò questo gesto di Martino cosa dice a me, oggi? Per essere concreto: mi dice che anch’io sono nudo, sono affamato, assetato, malato, in carcere, straniero, immigrato, rifugiato, povero, ignorante… in sostanza, anch’io sono uomo, anch’io bisognoso di misericordia. Solo nell’incontro con l’altro posso scoprire questa realtà, solo “dividendo” il mio io per “con-dividere” il mio essere uomo posso diventare davvero misericordioso, solo se sono misericordioso posso essere “misericordiato”. Solo se scopro la dignità dell’uomo (che si esprime anche nel suo bisogno) posso riscoprire la dignità di figlio di Dio. Solo se scopro che io non sono migliore dell’altro ma che anch’io ho bisogno di quella metà di mantello, allora sarò davvero un buon samaritano, come Martino, e le mie saranno davvero opere di misericordia come l’opera di salvezza di Dio!
Giuseppe Sgambetterra