Abbiamo fermato tutto per fermare il contagio, anche se la sofferenza non si è fermata e ha lasciato delle tracce profonde nel cuore e nella vita. Sono tracce da guardare e forse da seguire.
Al Consiglio Pastorale di lunedì 7 settembre, abbiamo dato ampio spazio alla riflessione su questo periodo di Pandemia a partire dalle esperienze personali e quelle raccolte dall’ascolto delle tante persone della comunità.
Lo scopo era di raccogliere le tracce che questo periodo così difficile ha lasciato nel proprio cammino personale umano, cristiano e come Chiesa. E’ da queste “tracce” che possiamo ricavare anche qualche indicazione su come ripartire come comunità cristiana e anche come “non” ripartire, cogliendo l’occasione per esplorare nuove strade senza paura.
chi si è allontanato e chi avvicinato
Abbiamo visto che in questo periodo si sono polarizzate due tendenze nelle persone della comunità: c’è chi si è maggiormente staccato dalla vita di fede e dalla partecipazione, e c’è chi invece si è avvicinato ad una maggiore consapevolezza della presenza di Dio e di vita di fede. Chi è stato particolarmente toccato dall’esperienza della malattia e della morte di qualche parente e amico o si è allontanato dalla fede che in fondo in precedenza non era così rilevante nella sua vita, oppure si è maggiormente riavvicinato a Dio anche se prima non era particolarmente credente o praticante. Questa polarizzazione più marcata delle reazioni (allontanamento o avvicinamento) è uno dei frutti di questa esperienza così forte che ha coinvolto tutti.
il supermercato
Uno dei luoghi che più di tutti è diventato uno spazio di esperienze di umanità è stato stranamente il supermercato. Nel periodo di maggiore chiusura era il luogo dove bene o male tutti si ritrovavano anche se per poco e velocemente. Nel supermercato vedevi chi era preso dalle paure e seguiva tutte le regole in maniera ansiosa e chi invece come per reazione alla paura non le rispettava, negando spesso il problema. E’ stato davvero un piccolo spaccato di quel che succedeva nella società.
nuovi spazi di silenzio
Per qualcuno il periodo in cui si era in casa è stato positivo. Avendo spazi maggiori dentro casa e nel giardino, chi è rimasto solo ha trovato tempo per coltivare maggiormente la riflessione e la preghiera. L’isolamento e la solitudine sono stati preziosi per qualcuno al fine di elaborare la sofferenza personale e collettiva, anche attraverso la preghiera. Sicuramente chi aveva spazio in casa e attorno ha potuto sopportare meglio l’isolamento, al contrario di chi è stato costretto in poco spazio casalingo a convivere in tante persone. Avere tempi e spazi di silenzio e solitudine in questo nostro mondo così votato alla fretta e al rumore alla fine si è rivelato un’esperienza positiva da coltivare.
il valore delle piccole cose
Il periodo della quarantena è stata anche occasione per capire il senso del valore delle piccole cose e delle persone, per capire quello che veramente è essenziale e cosa lo è meno. Per qualcuno è stata occasione anche per ritrovare serenità proprio dentro la sofferenza, accettando che non si può fare tutto e risolvere tutto nella vita.
Rischia così di essere un pericolo avere fretta di tornare a come era prima dimenticando quello che, anche se costretti, abbiamo imparato. Questo periodo andrebbe letto come occasione per ripartire in modo nuovo e diverso da prima sia a livello personale che comunitario.
In questo periodo in cui abbiamo fermato tutto (a livello di chiesa, di lavoro, di commercio, di sport…) abbiamo sentito ancora di più l’esigenza della vicinanza delle persone, i rapporti umani che sono alla base di ogni altra attività.
la solitudine prima emergenza
E’ la solitudine esistenziale il vero male da affrontare e di cui preoccuparsi. E’ la mancanza di relazioni umane la vera urgenza di cui occuparsi prima di tutto come Chiesa. Dovremmo fare di più come Chiesa sulle relazioni umani e la lotta alla solitudine.
In questo periodo di restrizioni abbiamo fatto come una specie di digiuno obbligatorio non di cibo ma di relazioni, di celebrazioni e incontri formativi parrocchiali. e come tutti i digiuni anche questo è servito per imparare che niente è scontato e che stare insieme va gustato in modo pieno. Abbiamo “digiunato” anche della messa domenicale e questo forse ci aiuta a ritrovarla con maggior consapevolezza e sapore. Ci domandiamo se veramente ne abbiamo sentito la mancanza.
riscoperta della chiesa in casa
L’inattività nel periodo più chiuso della quarantena è stata affrontata da qualcuno con la riscoperta dei piccoli spazi e piccoli gesti domestici. Anche la propria casa, il proprio tavolo da cucina, gli spazi e tempi della vita in casa possono diventare un luogo dove vivere la fede e pregare. Non serve sempre andare in chiesa e nelle grandi occasioni. Sarebbe bello che questa “forzata” preghiera in casa faccia riscoprire proprio il grande valore della vita cristiana in famiglia e negli spazi di ogni giorno.
ascoltare le domande e cercare insieme le risposte
Tutto questo periodo per molti è stato anche tempo per ritornare alle domande fondamentali della vita e della fede. Il dolore condiviso e le difficoltà portano sempre a guardare nel profondo. Come Chiesa dovremmo davvero ascoltare di più le vere domande che la vita pone e cercare insieme le risposte della fede. La comunità cristiana deve cercare insieme le risposte non dando mai per scontata e risolta la fede. E le risposte alle domande della vita (amore, morte, dolore, futuro…) vanno cercate insieme anche in modi diversi e luoghi diversi. Il “come” concreto non è ancora facile da trovare, ma sicuramente è importante ascoltarci gli uni gli altri coltivando una vicinanza vera, anche in tempi di distanziamento fisico.
il consiglio pastorale parrocchiale di Moniga del Garda