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il prezzo della pace

nel mese di preghiera per la pace, la testimonianza di pace di Tair Kaminer, giovane israeliana di 19 anni, che rifiuta di prestare servizio militare nell’esercito israeliano.

“Non sono stata cresciuta per preoccuparmi solo di me stessa… Spero che il mio rifiuto, anche se pagherò un prezzo per questo, serva…”

Mi chiamo Tair Kaminer, ho 19 anni. Qualche mese fa ho concluso un anno di volontariato con gli scout israeliani a Sderot. Tra pochi giorni andrò in prigione.

Per un intero anno ho fatto volontariato a Sderot, lavorando con bambini che vivono in una zona di guerra e lì ho preso la decisione di rifiutarmi di prestare servizio militare nell’esercito israeliano. Il mio rifiuto deriva dalla volontà di dare il mio contributo alla mia società, di renderla un posto migliore, ed è parte della lotta per la pace e l’uguaglianza.

una delle moltissime pitture sul muro di divisione costruito da Israele per separare il territorio israeliano da quello dello Stato di Palestina

una delle moltissime pitture sul muro di divisione costruito da Israele per separare il territorio israeliano da quello dello Stato di Palestina

I bambini con cui ho lavorato sono cresciuti nel cuore del conflitto e hanno vissuto esperienze difficili sin dalla più tenera età, esperienze che in molti di loro hanno alimentato un grande odio, un odio che si può comprendere. Come loro, molti dei ragazzi che vivono nella Striscia di Gaza e nei Territori occupati palestinesi, in una realtà ancora più difficile, hanno imparato ad odiare l’altra parte. Anche loro non possono essere biasimati. Quando guardo a tutti questi ragazzi e alle prossime generazioni su entrambi i fronti e alla realtà che vivono, vedo che il loro trauma e il loro dolore continuerà. E dico: basta!

All’orizzonte non c’è alcuno spazio per un processo di pace, nessun tentativo di portare la pace a Gaza o a Sderot. Ma finché proseguirà la via della violenza militare, creeremo generazioni di odio che renderanno le cose solo peggiori. Dobbiamo fermare tutto questo ora.

Questo è il motivo per cui rifiuto di prestare servizio militare: non prenderò parte attiva nell’occupazione dei Territori palestinesi e nelle ingiustizie compiute verso il popolo palestinese sotto occupazione. Non prenderò parte al ciclo di odio di Gaza e Sderot.

La mia coscrizione è fissata per il 10 gennaio. In quel giorno m recherò alla base di Tel Hashomer e dichiarerò il mio rifiuto e la mia volontà di prestare servizio civile alternativo.

Parlando con alcuni cari sono stata accusata di ferire la democrazia non obbedendo alle leggi dello Stato. Ma i palestinesi nei Territori occupati vivono sotto le leggi del governo israeliano anche se non l’hanno eletto. Credo che finché Israele continuerà a essere un Paese occupante, continuerà a mettere distanza tra sé e la democrazia. E in questo senso il mio rifiuto è parte della lotta per la democrazia e non un atto anti-democratico.

Mi è stato detto che mi sto lavando le mani della sicurezza dello Stato di Israele. Ma come donna che considera tutti gli esseri umani uguali, e le loro vite ugualmente importanti, non posso accettare l’argomentazione della sicurezza finché sarà applicata solo per gli ebrei. Specialmente ora che l’ondata di terrore continua è chiaro che i militari non proteggono neppure gli ebrei, perché non è possibile garantire sicurezza in un regime di occupazione. La vera sicurezza ci sarà solo quando il popolo palestinese vivrà in libertà e dignità in uno Stato indipendente accanto a Israele.

C’è chi si è preoccupato per il mio futuro in uno Stato in cui il servizio militare ha così tanta importanza. Mi hanno suggerito di prestare servizio militare nonostante le mie opinioni o almeno di non rifiutarmi pubblicamente. Ma nonostante tutte le difficoltà e le preoccupazioni, ho scelto di dichiararlo pubblicamente. Questo Stato, questo Paese, questa società sono troppo importanti per me per stare in silenzio. Non sono stata cresciuta per preoccuparmi solo di me stessa, la mia vita finora è stata improntata al dare e alla responsabilità sociale. Spero che il mio rifiuto, anche se pagherò un prezzo per questo, serva a far emergere nel dibattito pubblico la realtà dell’occupazione israeliana, perché così tanti israeliani la dimenticano.

la "madonna della porta aperta" dipinta sul muro di divisione tra Gerusalemme e Betlemme

la “madonna della porta aperta” dipinta sul muro di divisione tra Gerusalemme e Betlemme

Ci è stato detto che non c’è alternativa alla violenza militare. Ma io credo che questa sia la via più distruttiva e che ce ne siano altre. Voglio ricordare a tutti noi che c’è un’alternativa: negoziati, pace, ottimismo, una vera volontà di vivere in uguaglianza, sicurezza e libertà. Ci è stato detto che la via militare non è politica ma che prestare servizio nell’esercito è una decisione politica di grande significato, esattamente come rifiutarsi di prestarlo.

Noi giovani dobbiamo capire il significato di questa decisione, nel profondo. Abbiamo bisogno di comprendere le conseguenza per la nostra società. Dopo averlo fatto la mia decisione è di rifiutarmi di prestare servizio nell’esercito. Il carcere militare mi spaventa molto meno della perdita di umanità della nostra società.

(da Adista.it)