La chiesa di San Martino, parrocchiale di Moniga, è una delle più antiche della Valtenesi. In origine era una “cappella” e dipendeva, come tutte le chiese della nostra zona, dalla Pieve di Santa Maria, a Manerba. Da questa si staccò, rendendosi autonoma, il 13 ottobre 1454, quando fu consacrata dal vescovo Ermolao Barbaro e dedicata a San Martino, protettore dei cavalieri, dei militari, dei sarti e degli osti, un santo il culto del quale era stato introdotto in Italia dai Franchi.Poiché la nuova chiesa era priva di beni e di rendite, cioè del necessario per il suo mantenimento, il vescovo stabilisce che l’arciprete della Pieve di Manerba le ceda i terreni posseduti a Moniga.Autonomia religiosa significava avere il diritto di amministrare i sacramenti, in particolare il battesimo, ma, anche se terminava la dipendenza, restava un forte legame con la chiesa madre. Nel 1576 infatti, più di un secolo dopo il distacco da essa, risulta che il Comune di Moniga pagava ancora alla Pieve di Santa Maria quattro libbre di cera bianca e mezza libbra di incenso.
C’era poi l’obbligo che un sacerdote di Moniga fosse presente alla Pieve il sabato santo e nei giorni dell’Assunzione, della Natività di Maria e dell’Annunciazione. L’acqua per i battesimi, inoltre, doveva essere presa dal fonte battesimale della Pieve. Non sappiamo esattamente come fosse la chiesa originaria, ma sappiamo che era più piccola e più semplice. Nel 1530, secondo quanto è scritto nel verbale della visita pastorale del vescovo GianMatteo Giberti, vi sono solo due altari: quello maggiore ed uno dedicato alla Vergine. La chiesa mantenne l’aspetto che aveva allora fino alla metà del Settecento, quando fu ricostruita quasi interamente: dapprima, nel 1778, fu allungata dalla parte dell’altar maggiore, poi, nel 1796, dal lato della facciata, che fu completamente rifatta. Nacque così nello stile dell’epoca, il barocco, la facciata che vediamo ancora oggi. Preceduta da una scalinata che supera il notevole dislivello dal piano stradale, essa si presenta lineare ed elegante, decorata ma non appesantita da eccessivi ornamenti. Bello anche il portale d’ingresso, sopra il quale si apre un grande finestrone rettangolare che riproduce, nei vetri colorati, la scena di San Martino che regala il suo mantello al mendicante. L’interno, a una sola navata, è decorato con stucchi e marmi.
Cinque sono gli altari: a destra, quello dedicato a San Giuseppe e poi quello del Santo Rosario; a sinistra, l’altare del Crocifisso e quello dedicato alla Vergine, con una statua di legno dorato della Madonna ed una, simile, di Santa Lucia. Qui c’era, fino a non molto tempo fa, anche la statua di Santa Caterina: entrambe molto venerate nella nostra zona, a queste sante, anche a Manerba, sono intitolate due chiesette. Agli altari erano legate la Confraternita del SS. Sacramento e quella del Rosario: quest’ultima, oltre ai consueti doveri stabiliti per i confratelli, aveva l’obbligo della distribuzione annuale di pane ai poveri. Salendo tre gradini si accede al presbiterio, separato dalla navata da una elegante balaustra a colonnine.L’altare maggiore, al centro del presbiterio, ricorda, nello stile e nelle decorazioni, la sua chiara origine barocca. Particolarmente belli sono gli intarsi di marmo a vari colori, che creano un effetto di grande armonia. Nella parte bassa, al centro, è inserita una piccola statua di San Martino vescovo. Sopra l’altare è posto un bel tabernacolo di marmo e ai suoi lati, come arredo, ci sono sei grandi candelabri di legno che completano perfettamente tutto l’insieme. Sulla parete di fondo dell’abside, la pala raffigurante San Martino richiama la dedicazione della chiesa. Il coro, alle spalle dell’altare, è disposto, con i suoi semplici sedili di legno, lungo la stessa parete; ai lati, due quadri rappresentano l’Adorazione dei Magi e la Sacra Famiglia. Al di sotto di quest’ultimo, una grande tela riproduce la scena della Pentecoste, cioè la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli. Fino a tempi recenti, questo dipinto era posto sulla parete di fondo della chiesa. A sinistra e a destra, nel presbiterio, si aprono le porte della sacrestia, vicino alle quali sono collocati, incassati nel muro, “armadietti” destinati a contenere, rispettivamente, l’olio santo e le reliquie dei santi, come ricordano le iniziali (O S e S R) visibili sulle piccole porte di legno che chiudono questi spazi.
In alto, sulle due pareti, balconcini uguali e simmetrici racchiudono le lucenti canne dell’organo. Sul lato sinistro della chiesa, fra gli altari laterali, una porta consente di accedere, tramite una scala, al pulpito che si protende verso la navata: è una struttura di legno semplice e severa, ma elegante e in armonia con gli altri elementi decorativi. In fondo, sempre a sinistra, si apre un piccolo vano che ospita un fonte battesimale di pietra: è l’antico battistero, oggi non più utilizzato ma importante testimonianza del passato che questa chiesa ha vissuto. In alto, sopra di esso, un dipinto raffigura la Madonna tra San Domenico e San Francesco.